La spada giapponese
Il Mito
Si narra che il Kojiki, libro fondamentale dello Shintoismo, che il dio Haja Susanoo – figlio del dio Izanagi, creatore, insieme alla dea Izanami, delle isole nipponiche – venne esiliato nella regione di Izumo dalle otto centinaia di decine di migliaia di Dei. Qui egli uccise un drago con otto teste per salvare una vergine offerta in sacrificio al mostro. Ucciso il drago, si affrettò a tagliarlo a pezzi con la propria spada, tuttavia, giunto alla coda, non riuscì a troncarla, e il filo della spada si intacccò. Aperta la coda per tutta la sua lunghezza, Susanoo vi trovò all’interno una grande spada, che si chiamava Tsumugari (la Ben Affilata). Consegnò la spada alla dea solare Ameterasu, che la diede poi al nipote Ninigi allorché questi discese dal cielo per governare il Giappone. La spada fu infine ereditata dagli imperatori, il decimo dei quali Suigin, la fece porre nel tempio di Ise. Il principe Yamato Takeru, figlio del XIV imperatore, accingendosi a compiere la sua spedizione contro gli Ainu, si fece consegnare la Tsumugari e la portò con sé durante la campagna di guerra. Un giorno i nemici attrassero il principe in una prateria e diedero fuoco alle sterpaglie; Yamato Takeru falciò prontamente l’erba in fiamme (o fu la spada stessa a farlo magicamente…) creandosi così un varco. Da quel giorno la spada si chiamò Kusanagi No Tsurugi (la Spada Falciatrice d’erba). E’ significativo che questa spada provenga proprio da Izumo, regione ricca di minerali ferrosi. Essa viene consegnata agli imperatori del Giappone il giorno della loro incoronazione, insieme allo specchio e alla Gemma, simboli della dea Amaterasu.
Le origini
La lavorazione del ferro, sia per fusione che per forgiatura, era conosciuta in Cina settentrionale fin da VI sec. A.C. I giapponesi, nel 362 d.C., invasero la Corea del Sud, restandovi poi per 300 anni. Fu dalla vicina Cina dunque che conobbero l’uso delle armi in ferro, ed in particolare della spada diritta ed ad un solo taglio, mentre fino a quel momento essi avevano usato unicamente la pietra ed il bronzo. Sul finire del IV sec., dopo un periodo di massiccia importazione delle spade dalla Cina, - oggi reperibili nelle sepolture preistoriche e protostoriche – che il Giappone diete avvio alla produzione in patria di spade in ferro, mettendo a punto proprie tecniche di fabbricazione, ma soprattutto sviluppando forme e tipologie assolutamente originali.
Issha Zetsu Mei
(all your life in one shot)
Calligrafia di Pascal Krieger
La spada ed il samurai
Uno dei primi, ammirati accenni alle spade giapponesi lo leggiamo da un mercante fiorentino (Francesco Carletti), che le chiama “catane”, riportando che i giapponesi ne facevano un gran conto. Questo perché la spada giapponese non era solamente un’arma, ma anche un oggetto d’arte, tanto che oggi in Giappone la si definisce Bijitsu token (spada d’arte). Solo nei periodi di guerre frequenti la token ebbe una produzione di massa, che nocque certamente alla sua qualità artistica, ferma restando la sua straordinaria efficacia come arma di offesa. Oggi in tutto il mondo la spada giapponese è oggetto di accanito collezionismo, molto sofisticato in Giappone, ovviamente molto più attento alla suggestione storico – esotica in Occidente. Ma chi era il samurai che, in tanti film, vediamo brandire questa famosa spada ? Samurau è un antico verbo che significa “servire” – “essere al servizio di”, sottolineando con questo un servizio in armi. Il samurai era un armigero, una sorta di Bravo manzoniano, almeno alle origini. Nel X secolo i samurai si affacciamo alla storia come corpo organizzato di guerrieri (Bushi), e nel XII sec. sono già un’aristocrazia che terrà il potere fino alla Restaurazione Meiji (1868) il Samurai era un Bushi ed i due termini si possono considerare sinonimi (anche i relativi ideogrammi quasi si sovrappongono). Simbolo del samurai era la spada (come d’altronde lo era per il cavaliere occidentale), addirittura due spade, una lunga e una corta che egli solo poteva portare. I soli civili autorizzati a recare con sé un’arma (ma soltanto una) erano i mercanti e le loro donne, naturalmente con una limitazione di lunghezza della lama, che doveva essere inferiore a 2 shaku (60,6 cm.). Ma non fu sempre così : fino al XVI sec. non vi fu limite alla lunghezza delle lame portabili per difesa da chiunque. Poi le severe e classiste leggi dei Tokugawa posero quelle regole che ora tutti conosciamo. Per il samurai la spada era uno status symbol ma anche un oggetto venerato per la sua bellezza e le sue mitiche origini.
Lame
Tipologie
Con il termine Nipponto si intendono diverse tipologie di lame, sia da fianco che da asta. Le spade vere e proprie (Token), prerogativa esclusiva del samurai, erano il Tachi e la Katana. Come accennato precedentemente solo i samurai anticamente potevano portare lame di lunghezza superiore ai 60 cm. Queste generalmente venivano esibite dagli uomini d’arme in speciali combinazioni (Daisho) comprendenti due lame, Tachi e Tanto prima del XVII sec., Uchigatana e Wakizashi dopo il XVII sec. secondo il tipo di montatura le spade si portavano sospese o infilate nella fascia- cintura (Obi).
Tachi
Dal periodo Heian (782 – 1184) fino al primo Muromachi (1392 – 1572) le spade si portavano appese ad una cintura propria, orizzontalmente e con il taglio rivolto verso il basso; avevano una forte curvatura e la loro lunghezza si aggirava normalmente fra i 65 ed i 70 cm. Alcune tuttavia potevano essere più lunghe.
Nodachi
Spada lunghissima e pesante usata nei primi secoli della storia giapponese dai guerrieri a cavallo. Era più lunga di un buon 25 % rispetto una spada normale veniva portata a tracolla sulla schiena con l’elsa sopra la spada sinistra ed il cordone di ritegno allacciato al fianco destro.
Uchigatana (Katana)
Questo tipo di lama sostituì la Tachi a metà del periodo Muromachi (1392 – 1572) e restò in uso fino alla fine del periodo Edo (1600 – 1867). La sua lunghezza andava dai 60.2 cm. in su. Essendo generalmente più corta della Tachi la Katana si portava infilata nell’Obi con il taglio rivolto verso l’alto.
Il termine Katana, che nei tempi più antichi designava in realtà il Tanto, viene usato anche per certe sciabole forgiate come Tachi ma poi accorciate con un procedimento dal nome Suriage che prevede il taglio del codolo. Altro nome della Katana è Daito, oppure nel caso sia particolarmente lunga Okatana.
Chiisagatana
Sono lame di lunghezza compresa tra i 55 ed i 59 cm. generalmente di gran pregio poiché destinate ad essere portate con un particolare abito cerimoniale a Corte.
Wakizashi
La lunghezza di queste spade, che venivano portate come la Katana, varia dai 30.3 cm. (1 shaku) ai 60.6 cm. (2 shaku). Quelle più corte, tra i 36 ed i 40 cm. si chiamano Ko Wakizashi. Durante il periodo Momoyama (1573 – 1599), e fino alla fine di quello Edo (1600 – 1867), questo tipo di lama era portata assieme alla Katana componendo così il Daisho del samurai.
Tanto
Lame di lunghezza inferiore ai 30.3 cm. (1 shaku) dette anche Koshigatana.
Aikuchi/Hamidashi
Tanto con montature particolari
Kaiken
Pugnali di lama lunga circa 13 cm. e portati dalle donne
Yoroidoshi
Lama di lunghezza compresa tra i 23 ed i 30 cm., capace di penetrare tra le lamelle delle armature ed a tale scopo utilizzate. Si portava infilata verticalmente nell’Obi, dietro la schiena oppure sul fianco destro con il taglio rivolto verso l’alto, e perciò fu anche chiamata Metazashi che significa appunto “da fianco destro”.
Hachiwara
Non era propriamente una lama tuttavia veniva portata come tale; era lunga circa 30 cm. e di sezione quadrata, era munita di un uncino al forte per parare i colpi di spada ed eventualmente spezzarne la lama. Corrispondeva all’arma occidentale chiamata “Mano Sinistra”.
Superstizioni
Numerose in Giappone furono la superstizioni concernenti la lama delle spade. Alcune si riferivano a particolari eventi che potevano accadere al manufatto, altre ai segni presenti sulla lama, altre ancora alla lunghezza di quest’ultima, le cui variazioni potevano avere significato fausto oppure infausto. I segni lasciati dal processo di forgiatura sulla superficie della lama venivano interpretati secondo le leggi della divinazione: difetti o gruppi di particelle che si potevano formare tra le linee di separazione della superficie della lama divenivano agli occhi dell’aruspice animali, costellazioni, corpi celesti, ecc. dai quali venivano ricavati i più diversi presagi: slealtà da parte dei servi, rischio di cecità per il padrone della spada o per i suoi congiunti, morte, tragedie domestiche, cattiva salute, incendi, morte per assassinio, perdita di cause giudiziali, suicidio, eccetera; ma anche buona salute, fortuna, lunga vita, successo sociale, … La superstizione più interessante riguarda la lunghezza della spada. Il tagliente, misurato dalla base (Ha machi) all’estremità della punta, veniva idealmente suddiviso in 10 settori, corrispondenti ai 10 trigrammi Hakkei, e cioè: Zai (salute) - Bio (malattia) – Ri (separazione) – Gi (lealtà) – Kan (buona posizione) – Go (peccati) – Gai (ingiurie) – Kitsu (fortuna) – Zai (salute) – Bio (malattia). La lunghezza totale della spada (lama + codolo) veniva poi divisa per la lunghezza del codolo ed il quoziente moltiplicato per due. Il numero risultante veniva quindi raffrontato con la scala dei trigrammi: se cadeva in un intervallo infausto si procedeva all’accorciamento del codolo o della lama finché non si raggiungeva un valore favorevole. In base ai suddetti criteri la lunghezza di una lama – pari a quattro volte il codolo – era sconsigliabile.
Koshirae (montature)
Con questo termine si intente genericamente la montatura di una lama giapponese. Secondo la tipologia e la destinazione d’uso le lame possono avere tre tipi di Koshirae: Jindachizukuri, Bukezukuri, Shirazaya. La montatura Jindachizukuri, ovvero Jindachi, tipica delle spade Tachi, veniva usata sia con la tenuta da campo che da cerimonia. Si portava appesa alla cintura col taglio rivolto verso il basso. Il tipo utilizzato alla corte imperiale o shogunale era sempre riccamente decorato, anche con elementi preziosi; mentre la montatura da guerra era più semplice anche se veniva comunque portata con alcuni abiti cerimoniali. La montatura Bukezukuri (Buke significa “casata d’armi”) è la più diffusa a partire dal XV sec. ed è contraddistinta dalla mancanza di elementi di sospensione, la spada infatti si porta infilata nell’Obi col taglio rivolto verso l’alto. In questa tipologia rientra anche la particolare montatura Handachi (cioè “mezza Tachi”, o più propriamente “quasi Tachi”) cui mancavano gli elementi di sospensione. Le montature delle lame Tanto si distinguono principalmente per le dimensioni o la presenza o meno della guardia (Tsuba). Hanno le seguenti denominazioni: Tanto, Hamidashi (con Tsuba di piccole dimensioni), Aikuchi (senza Tsuba), Kaiken (senza Tsuba). La montatura denominata Shirazaya (o Shira saya), letteralmente “fodero bianco” – cioè montatura in bianco – è la più semplice di tutte ed è costituita da un fodero e da un’elsa ricavati da un pezzo coerente di magnolia. La sua funzione è di garantire la perfetta conservazione della lama proteggendola dagli agenti atmosferici e perciò ha una sezione maggiore rispetto alle montature d’uso.
Tsuka e Saya (Elsa e Fodero)
I due elementi fondamentali della montatura sono l’elsa (Tsuka) ed il fodero (Saya), entrambi costituiti da due valve di legno di magnolia fissate tra loro con colla di riso. Di solito nelle montature d’uso la Tsuka è ricoperta di Same, pelle conciata di razza (…il pesce…), ed è rivestita da un intreccio realizzato con una fettuccia di seta o di cotone (Tsuka ito). La Tsuka è attraversata da un foro (Mekugi ana) per il passaggio del pioletto di fissaggio alla lama (Mekugi). Il Saya è sempre laccato, sia a scopo decorativo che conservativo: la lacca impiegata in questa lavorazione protegge perfettamente il legno, e di conseguenza la lama, dagli agenti atmosferici. Le decorazioni del Saya varia secondo le mode e le destinazioni d’uso. Nello spessore del fodero, dal lato Omote o dal lato Ura a seconda dei casi, è ricavato un recesso per l’inserimento di alcuni accessori quali il Kogatana e il Kogai.
Tosogu (finimenti)
Nelle montature d’uso Tsuka e Saya sono arricchiti da finimenti; il nome di questi ultimi può cambiare a seconda del tipo di lama montata. Con il termine Kodogu si indica questo insieme ad esclusione della Tsuba:
Fuchi e Kashira – collare e pomello dell’elsa
Sono realizzati in metallo e montati appaiati secondo lo stile ed il soggetto della decorazione. In alcune montature il Kashira è realizzato in corno nero di bufalo. I due fori al lato presentano degli occhielli decorativi.
Menuki – elementi dec0rativi d’ispessimento dell’elsa
Sempre in coppia coerente sono inseriti tra il Same e la Tsuka ito. La loro funzione è appunto quella di ispessire la Tsuka in punti opposti ed asimmetrici per migliorarne la presa. In linea di massima dovrebbero essere in linea con la decorazione dell’elsa (Kozuka), dello spillone (Kogai), ecc. Alle volte potevano proporre lo stemma del casato.
Tsuba – guardia
La tsuba, o guardia della spada, è una placca metallica di forma, dimensioni e spessore variabili la quale oltre ad avere lo scopo pratico di proteggere la mano dello spadaccino ha anche una funzione equilibratrice della spada; allo stesso tempo si è sviluppata come simbolo di condizione e di rango sociale del suo proprietario. Durante il periodo Muromachi (1333-1573) e Momoyama (1573-1603) i clan più potenti vivevano costantemente in guerra fra loro e di conseguenza la funzionalità della spada era più importante della sua relativa decorazione; il successivo periodo Edo (1603-1868) portando un periodo ininterrotto di 256 anni di pace nel Giappone permise lo sviluppo dell’arte decorativa delle armi. Fino al XVII secolo la tsuba era essenzialmente opera di armieri (kachusi) e forgiatori di spade (tosho) e consisteva in semplici e sobri dischi di solido ferro, al massimo abbelliti con decorazioni geometriche; diventarono opere di orafi solo dopo il XVII secolo riflettendo sempre più il pronunciato gusto per la decorazione e per la raffinatezza dei motivi ai quali cui si aggiungeva lo stile tipicamente giapponese per la miniaturizzazione; in quel periodo la tsuba diventa un vero e proprio gioiello ricavato da leghe preziose dall'aspetto scintillante e con le superfici riccamente ornate. I soggetti rappresentati sono davvero innumerevoli e spaziano in tutti gli aspetti della cultura giapponese; fra gli svariati motivi trattati vi è uno che attira più frequentemente l'attenzione: la decorazione animalista. La limitazione del soggetto è solamente apparente essendo esso così vasto da ricoprire più tipi di rappresentazioni differenti fra loro.
Tsuba - materiali
La maggior parte delle tsuba sono realizzate in ferro tuttavia si possono trovare una varietà di altri materiali:
- Rame
- Sentoku - un rame consistente, uno zinco e una latta della lega giallaShakudo - una lega marinata scura del metallo - una miscela di rame, di oro e di alcuni altri materiali
- Shibuichi - una lega con il 75% rame ed il 25% di argento
- Ottone
- Bronzo
- Argento
- Oro
Tsuba - lavorazioni
La firma dell’artigiano veniva apposta sul seppadai nel lato omote, usualmente il più decorato. Nel Takabori in stile Suridashi il Soji (base del metallo) viene tolto lasciando in altorilievo il tema voluto dall’artista, si chiamerà Nikubori nel caso si tratti di bassorilievo. L’esportazione poteva essere meccanica o chimica mediante l’impiego di acidi. La lavorazione Katakiribori prevede che venga praticata un’incisione a “V” utilizzando un particolare scalpello il quale, asportando il materiale, forma un tratto simile alla pennellata nei disegni. Nella tecnica Zogan stile Horikomi viene scavato un solco sulla base del metallo entro il quale viene inserito il materiale per il tema da ricavare; l’intarsio Zogan può essere eseguito con la figura in rilievo Takazogan, oppure pari alla superficie della base: Hirazogan. Nel Nunome Zogan (damaschinatura) una serie di solchi, simile ad un tessuto, viene scavata alla base: il materiale per il disegno viene successivamente martellato o comunque inserito alla base. Il sistema Iro-e è la combinazione di metalli o leghe diverse nel lavoro di intarsio che produce un effetto pittorico sulla figura. A volte la figura è solo saldata alla superficie della base ad incrostazione, ne è un esempio il Gomoku-Zogan dove piccolissimi frammenti di metallo (rame, oro, argento) sono sparsi irregolarmente sulla superficie, come aghi di pino caduti a terra. La lavorazione Sukashi (traforo) è una delle tecniche più antiche; la figura poteva essere indifferentemente in positivo o in negativo, con tecnica mista o con raffigurazione dei margini. Se la parte asportata al traforo è piccola la tecnica prende il nome di Ko-Sukashi, se la parte asportata interessa l’intera tsuba, ed è quindi estesa, si chiama Tsuba Ji-Sukashi.
Tsuba - rappresentazioni simboliche
Lo zodiaco giapponese (di origine cinese) è composto da dodici segni indicanti altresì le ore del giorno, ogni segno ha come simbolo un animale e troveremo così in sequenza: il topo, il bue, la tigre, la lepre, il drago, il serpente, il cavallo, la capra, la scimmia, il gallo, il cane ed il cinghiale.
Nell’iconografia raffigurata sulle spade giapponesi sono questi gli animali che hanno conseguentemente rappresentato la maggior fonte di ispirazione a volte raffigurati singolarmente a volte anche in combinazioni; tutta l’arte giapponese del resto abbonda di rappresentazioni del mondo animale. Tra i soggetti raffigurati troviamo i crostacei, in particolare l’aragosta, che simboleggia il nuovo anno e la longevità in genere, la sua raffigurazione ha quindi un significato augurale. Anche la tartaruga (animale millenario come narra la leggenda) e la cicogna (di solito accompagnata a figure di saggi) sono simbolismo della longevità. Di buon auspicio è il drago, uno dei dodici animali dello zodiaco, usualmente raffigurato fra le nuvole o fra le onde. Simbolo della notte è il pipistrello (il kanji “fu” corrisponde anche a pipistrello) anch’esso portatore di buona fortuna; all’immagine del topo invece si collega l’abbondanza. Puramente decorative erano invece le rappresentazioni del fagiano (considerato in Giappone uno degli uccelli più belli in natura) e del falco. La fenice, animale mitico anche in Giappone come in Cina, poteva simboleggiare la virtù ma anche l’imperatrice e di solito veniva raffigurata tra i rami di kiri (paulownia). La lepre secondo una leggenda è un’abitante della luna simboleggiante la longevità ed è spesso rappresentata mentre pesta il moki oppure corre sulle onde; questo animale è anche molto spesso rappresentato mentre contempla la Luna (mentre in occidente nella superficie lunare si riconosce un volto umano in estremo oriente si distingue un coniglio il quale, secondo la leggenda, prepara un elisir di lunga vita). Altra frequente immagine è il leggendario millepiedi gigante ucciso dal grande guerriero Tawara Toda con una freccia dalla punta intinta dalla sua stessa saliva; la raffigurazione del millepiedi si pensava potesse intimorire l’avversario evocando il possesso di un’arma misteriosa o di una tecnica segreta. Molto usata specie nelle scuole Akasaka e Kinai era anche l’oca, simbolo della luce e del principio maschile dello yang. Altri animali frequentemente rappresentati erano i cani-leoni shishi (in questo caso probabilmente a creare i mostri fu la fantasia dei giapponesi chiamata a supplire la loro scarsa conoscenza della fisionomia dei leoni). Usualmente collocati a guardia di qualcosa rappresentavano, assieme alle peonie, il potere imperiale. Stessa rappresentazione fantasiosa anche se molto meno frequente era quella degli elefanti, simbolo ovviamente di forza; infine la tigre, pur potentissima e maestosa viene spesso rappresentata tra i bambù pianta alla quale si deve rivolgere per proteggersi dall’infierire degli elementi atmosferici, in questo caso più forti di lei. Innumerevoli sono infine le rappresentazioni di pesci e di carpe in particolare, simbolo di forza, coraggio e perseveranza. Molto spesso gli animali sono rappresentati associati simbolicamente a piante, ad elementi, oppure fra di essi: il cervo e l'acero simboleggiano ad esempio l’autunno, la gru ed il pino la longevità, così come la gru e la tartaruga; questa ultima associazione trova la sua origine nella dottrina taoista secondo la quale i due grandi principi che costituiscono l'universo, quello celeste e quello terrestre, sono rappresentati da questi due animali. La scimmia è spesso rappresentata nell'atto di tentare di afferrare il riflesso della luna nell'acqua a simboleggiare evidentemente l'illusione del desiderio di possesso materiale; la carpa che risale la corrente simboleggia la determinazione e la tenacia. Altri fonti di ispirazione derivano dal mondo vegetale a partire dal crisantemo (kiku) simbolo della casta imperiale e di altre nobili casate; il bambù, simbolo di longevità e di fedeltà è considerato in Giappone come una delle piante più utili, versatili ed apprezzate venendo utilizzato per la costruzione di edifici così come della gran parte delle suppellettili, attrezzature da lavoro e strumenti per la cucina; il bambù assieme al ciliegio al pruno ed all’orchidea è una delle piante più amate dagli artisti giapponesi. I Tokugawa portavano nel proprio mon (simbolo araldico) la foglia di aoi, ed essendo stati la famiglia al potere per due secoli e mezzo – proprio al fiorire dell’artigianato nel settore delle montature – possiamo trovare questo tipo di rappresentazione su tantissimi modelli. Il ciliegio il cui fiore – sakura – è simbolo di purezza e caducità della vita divenne successivamente il simbolo del samurai; come li ciliegio anche il pruno, pianta amatissima per la plastica nodosità dei rami, era coltivata esclusivamente per la bellezza della fioritura e non per i frutti generati. Significato augurale aveva invece il pino, simbolo della tenacia e della forza. Molti temi e personaggi derivano dalla leggenda delle religioni sia buddista (zen) che scintoista: i tengu erano dispettosi abitanti degli alberi ma espertissimi nelle arti marziali, gli oni – nome generico dei demoni – erano spesso rappresentati nell’atto di combinare guai e disastri nonché spesso minacciati da Shoki, lo spirito scaccia-diavoli. Gli Hotei con la sacca ed il ventaglio erano deità dell’abbondanza del commercio e della generosità. Ebisu deità della pesca e della prosperità veniva generalmente raffigurato con la canna da pesca ed una grossa preda e simboleggiava la fortuna. Fukurokuju e Jurojin deità di origine cinese rappresentate con la testa allungata e fronte amplissima portavano ricchezza prosperità e longevità. Bishamonten protettore del buddismo, pure deità della prosperità e della guerra, è rappresentato coperto da un’armatura con una pagoda in una mano ed un’alabarda nell’altra. Daruma veniva raffigurato in meditazione dopo aver perso l’uso delle gambe.
Tsuba - illustrazioni di racconti e leggende
Come tutti i paesi anche il Giappone ha una grande varietà di racconti e leggende ed il valore che in questo paese si attribuisce alla loro illustrazione simbolica è molto importante; un metodo classico per illustrare una storia complessa prevede che ad un'immagine simbolica sia associata qualche elemento selezionato fra l'insieme dei costituenti la storia stessa, è la cultura e l'immaginazione di chi ammira l'opera a completarne il senso. Ad esempio una tsuba raffigurante un'ape che attacca una scimmia con un granchio sull'altra faccia illustra uno del racconti per bambini più popolari del Giappone, il "Saru Kani Kassen", la guerra delle scimmie e dei granchi.
Tsuba - rappresentazione di animali fantastici
Nel folklore e nella mitologia orientale esistono numerosissimi animali mitologici quasi tutti di origine cinese che giocano spesso un ruolo più importante di quello degli animali reali. Si distinguono svariate categorie: animali di aspetto esteriore ordinario ma dotati di poteri particolari (volpi che possono tramutarsi in donna, tassi che si tramutano in teiere, tartarughe millenarie), animali di dimensioni straordinarie o che possono moltiplicare le proprie membra (volpi a nove code, scimmie a quattro orecchie, maiali a due teste), animali totalmente fantastici – la categoria più importante – tutti di origine cinese fra i quali i più noti sono il dragone, l'uccello di Ho, il Kirin. Lo Ho (equivalente alla nostra fenice) è rappresentato dall'unione di elementi del fagiano, del pavone e dell'uccello del paradiso, il suo ricco piumaggio a cinque colori rappresenta le cinque virtù principali: l'umanità, la decenza, la saggezza, la fedeltà e l'amore, ed associato al ramo di Kiri simboleggia l'autorità imperiale; in Cina era il simbolo dell'Imperatrice ed veniva spesso associato al dragone, simbolo dell'Imperatore. Il dragone è sicuramente il soggetto più rappresentato nell'arte dell'estremo oriente in particolare nelle tsuba; il dragone imperiale ha cinque artigli, quello principesco quattro, mentre il dragone del comune doveva averne tre. Il dragone è dotato di innumerevoli poteri: lo si può trovare spesso rappresentato assieme alla tigre (quest'ultima rannicchiata in una caverna o nascosta fra i bambù) mentre il dragone appare fra le nuvole circondato di stelle; esso rappresenta simbolicamente il dominio degli elementi su tutti gli animali della terra; il dragone rampante contro il monte Fuji simboleggia il successo nella vita. Oltre alle difficoltà tecniche la rappresentazione di soggetti così complessi su superfici tanto piccole e dalla struttura determinata era un vero e proprio esercizio di stile, le regole stesse di composizione furono influenzate fortemente dal modo di portare la spada ed i soggetti principali erano solitamente centrati sulla parte più visibile della tsuba.
Per quanto riguarda direttamente la nostra pratica in Dojo usualmente non inseriamo la tsuba (ed in ogni caso quest’ultima questa non avrebbe nulla a che spartire con quanto sopra descritto – si tratta infatti di un mero pezzo di plastica sagomato oppure nel migliore dei casi di pelle di maiale conciata, peraltro con un’eccellente robustezza) prevedendo nel curriculum di studi anche l’esecuzione di tecniche di Tachidori – mani nude contro un avversario armato – i motivi non sono però solamente rivolti ad esigenze di sicurezza: la mancanza della protezione aiuta – o perlomeno lo dovrebbe – ad aumentare l’attenzione del praticante durante la pratica stessa; il suo grado di concentrazione e di controllo dovranno essere tali infatti da permettergli una pratica estremamente corretta, accurata e precisa per ovviare ai potenziali danni cui potrebbero incorrere le sue mani o, ancora più importante, quelle del suo compagno di studio.
Habaki – fermo lama
E’ un elemento importantissimo per la conservazione della lama. Viene realizzato direttamente su di essa martellando una striscia di rame all’altezza dei gradini che separano la lama dal codolo. Dopo la battitura questa viene opportunamente sagomato e rifinito esternamente. Ha la funzione, a spada inguainata, di chiusura dell’imboccatura del fodero, impedendo al tempo stesso qualsiasi gioco tra lama e custodia.
Kogatana – coltellino
Si trova nelle montature delle lame corte. E’ noto impropriamente come Kozuka, termine che in realtà designa il solo manico (Kozuka = Ko tsuka, cioè “piccola elsa”). La lama del Kogatana viene inserita nel fodero dal lato Ura.
Kogai – spillone
Presente sia nelle montature delle lame corte che delle Katana questo spillone si inserisce nel fodero lato Omote.
Waribashi – bacchette per il cibo
Hanno la forma di un Kogai (al quale si sostituiscono nella montatura), diviso longitudinalmente.
Umabari – lancetta per cavalli
E’ una sorta di bisturi, forgiata in un solo pezzo, utilizzabile per sgonfiare l’addome dei cavalli in caso di fermentazione del cibo. Apparentemente simile al Kogatana è spesso provvisto di lama a doppio filo e a sezione romboidale.
Koiguchi – collare di rinforzo all’imboccatura del fodero
Significa “bocca di carpa” ed è il collare di rinforzo all’imboccatura del fodero. Di solito è di corno nero di bufalo e nelle montature Bukezukuri è incastrato in una battuta incastrata all’imboccatura così da non creare soluzioni di continuità. Può essere però anche di metallo nelle montature Jindachi e Handachi.
Uragawara – rinforzo per il recesso di Kogatana
Lamella in corno, in rame, o in altro metallo, che viene inserita nel fodero a rinforzo dell’imboccatura del recesso del Kotegana.
Kurigata – passante sul fodero
Incastrato sul lato Omote del fodero è il passante in cui si infila il Sageo – laccio di tessuto utilizzato come ritegno di sicurezza della spada nelle montature Bukezukuri .
Soritsuno – ritegno di sicurezza del fodero
Piccolo gancetto incollato sul fodero a pochi centimetri dal Kurigata e con la concavità rivolta verso l’imboccatura. La sua funzione è quella di impedire che il fodero scivoli fuori dall’Obi.
Ashigane – fascette di sospensione per montature Jindachi
Fascette di sospensione per sostenere il fodero nelle montature Jindachizukuri.
Shibabiki e Semegane – fascette lungo il fodero
Sono realizzate in metallo e sono applicate trasversalmente al fodero nelle montature Jindachi e Handachi. Le Semegane tengono in posizione gli Amaoi
Kojiri – puntale del fodero
Presente nelle montature Bukezukuri è generalmente realizzato in corno. Nelle montature Jindachi e Handachi prende il nome di Ishizuki.
Amaoi – prolungamenti dell’Ishizuki
Hanno una funzione di rinforzo del fodero