Hakama

Al giorno d’oggi ad indossare l’hakama troviamo i praticanti di Iaido, Aikido, Kyudo, Kendo, come anche la maggior parte degli esponenti dei Koryubujutsu classici (le arti marziali dell’era feudale che precedettero le moderne forme di Budo). Quattrocento anni fa la pratica delle arti marziali era condotta indossando l’hakama in quanto parte dell’abbigliamento abituale della maggior parte dei membri della casta dei samurai. Una delle spiegazioni del suo sviluppo è che, originariamente, si trattasse di una sorta di braca indossata dai cavalieri per proteggere le gambe dai cespugli e dalla vegetazione del sottobosco; per soddisfare questa necessità fu usato del cotone spesso e ruvido per creare un tipo di gonna – grembiule. Senza dubbio la classe guerriera giapponese trovò la protezione offerta dall’hakama sicuramente adatta…tuttavia…

La verità è che la sua origine risale almeno alla metà dell’ottavo secolo, ben prima che i samurai emergessero distintamente come casta; le donne della corte imperiale, durante il Periodo Heian (794 – 1185) portavano sotto i loro kimono multistrato delle “culottes” che si allacciavano in modo molto simile all’hakama. Dalla fine del periodo Heian gli uomini indossavano il kariginu, un abbigliamento formale per la caccia ed il suikan, un tipo di abbigliamento leggermente meno formale entrambi caratterizzati da un’ampia gonna – pantalone. Il primo uso conosciuto della parola hakama è nubakama, che si riferisce ad un tipo specifico di questi pantaloni dalle gambe molto ampie ed indossato dai membri della nobiltà mentre giocavano il kemari – una specie di tennis usando i piedi. Nel 1185 il clan guerriero dei Minamoto sconfisse il clan Taira, segnando la fine del periodo Heian e l’inizio del periodo Kamakura (1185 – 1332). Il Periodo prese il nome dopo che la città di Kamakura (Giappone orientale) divenne la sede politica del governo e residenza dello Shogun. La moda dell’epoca trasse meno ispirazione dalla splendida e raffinata Corte Imperiale di Kyoto che dominò il Periodo Heian di quanta ne assorbì dalla quieta, quasi severa, sensibilità militare della cultura guerriera Kamakura. Lo stile di moda kariginu e suikan fu rimpiazzato dal meno sfarzoso hitatare, una forma di abito standard per samurai nell’epoca Kamakura; un esempio di hitatare lo si può vedere nelle esibizioni formali di yabusame – arcieria a cavallo; i pantaloni sono molto simili all’hakama che si indossa oggi con la sola differenza rilevante tra queste versioni antiche e quelle moderne è che le gambe delle hakama antiche avevano nell’orlo inferiore dei lacci che le mantenevano chiuse. Il suo ed il daimon erano due varianti dell’hitatare che evolsero nel rimanente Periodo Kamakura e nel Periodo Muromachi (1340 – 1570) che seguì. Questi capi differiscono poco dai loro predecessori tranne che nei materiali di realizzazione, piuttosto che le lussuose sete degli hitatare le versioni successive di suo e daimon (il daimon è stato il primo capo di abbigliamento a portare i cinque stemmi di famiglia che furono poi usati sui kimono formali) erano fatte di semplice tela di lino, come l’hakama che si indossava assieme ad essi. La scelta dei tessuti non fu casuale. Il Periodo Muromachi vide la dominazione della classe militare ed il più quieto e semplice gusto nelle stoffe utilizzate per la fabbricazione dell’hakama era un riflesso delle prevalenti attitudini della società e delle tendenze dell’epoca. L’hakama compì un ulteriore passo avanti nella sua evoluzione solo dopo l’unificazione del paese da parte dello Shogun Tokugawa Ieyasu, attorno al 1600. I samurai dell’era Tokugawa vennero orientati dopo una guerra civile durata secoli verso compiti diversi dagli abituali: erano spesso indirizzati a sovrintendere la costruzione di strade o argini, oppure divennero agenti delle tasse o burocrati del governo. Durante questo periodo di transizione i samurai adottarono l’antico costume da caccia, o kataginu, del Periodo Heian, accorciandovi le maniche ed aggiungendovi delle “ali” rigidamente inamidate sulle spalle, inventando così il kamishimo. L’hakama indossata assieme al kamishimo era così lunga che per poterla indossare all’aperto bisognava ripiegarne verso l’alto le brache, ed al chiuso la stoffa strisciava sul pavimento… similmente allo strascico di una sposa. Questa curiosa gonna-pantalone chiamata spesso nagabakama (hakama lunga) richiedeva un passo strascicato per poter camminare ed impediva di correre se non per pochi passi prima di finire a terra faccia in avanti. La lunghezza corretta, com’è stato per la maggior parte del tempo in cui l’hakama fu parte dell’abbigliamento abituale nell’antico Giappone, è quella in cui l’orlo inferiore arriva all’altezza dei malleoli. La spiegazione più probabile alla popolarità della nagabakama è che il Giappone dell’era Tokugawa vide il rinascimento delle mode dell’era Heian, con un tentativo di ricreare l’eleganza di un tempo ormai passato. Dalla metà del periodo Tokugawa l’hakama fu indossata tanto dalla classe dei samurai quanto dai mercanti e scolari; un indumento dell’epoca simile all’hakama, con le gambe legate simile ad una sorta di pantalone, era il momohiki indossata dai soldati a piedi di rango inferiore e da altri soggetti non necessariamente appartenenti alla casta militare.

Esistono altri due tipi di hakama: la tattsuke-bakama e la nobakama; ambedue si allacciano alla vita ma hanno le gambe più strette, più simili ai pantaloni di stile Occidentale. La nobakama (hakama da campo) era un indumento utile da indossare per il lavoro nei campi; la tattsuke-bakama invece andava tipicamente indossata con le gambe avvolte dai kyahan, gambali di panno. Oggi principalmente sono indossati dai suonatori di tamburi taiko e gli yobidashi, gli assistenti al ring del Sumo. Nonostante la rapida occidentalizzazione del Giappone l’hakama continuò ad essere il vestito formale maschile anche dopo il 1868 fino agli anni trenta, ed anche durante la II G.M. era indossata come vestito abituale dai Giapponesi più anziani. Storicamente era indossata tanto dalle donne quanto dagli uomini (in modo particolare nel periodo Kamakura e più tardi nei Periodi Taisho e Meiji) ma fu il termine della II G.M. che segnò la sua eclisse come abito di uso comune in quanto le ristrettezze postbelliche riguardo i tessuti ne fecero un capo troppo prezioso per la produzione. Più d’uno dei primi studenti di Morihei Ueshiba ricorda che la dovette chiedere in prestito da qualche anziano parente per l’allenamento non senza causare una certa costernazione nei proprietari essendo l’hakama in seta costosa ed inadatta a resistere al rigore degli allenamenti. Oggigiorno gli uomini indossano ancora kimono formale ed hakama in alcuni eventi per i quali un simile abbigliamento è espressamente appropriato: per esempio nelle cerimonie formali di ritiro dalle competizioni di sumotori come nei matrimoni tradizionali, ma dalla fine della II G.M. il suo uso come articolo della moda quotidiana del vestire è definitivamente tramontato e la sola reminescenza del suo uso regolare come capo di abbigliamento la si trova oggi in quei Dojo d’arti marziali dove essa è parte standard della divisa.

L’hakama indossata nei Dojo odierni è, per essere tecnici, la joba hakama, una versione con le gambe distinte (joba significa “cavalcare”. La separazione delle gambe rende più facile stare in groppa). Esistono anche alcune hakama formali le quali non sono tagliate a gonne – pantalone ma sono vere e proprie gonne; queste ultime non sono però usate in nessuna forma di Budo. Un’hakama tipica ha tre pieghe longitudinali sulla gamba destra e quattro sulla sinistra. E’ una caratteristica dell’immaginazione umana che essa trovi, ove esista spazio, qualcosa con cui riempirlo. Ecco qui il caso della “ragione” dell’esistenza delle pieghe e del loro numero; se siamo inclini a dar retta alle storie che circolano esse rappresenterebbero le sette virtù del nobile guerriero: coraggio, fedeltà, onore, buona igiene, correttezza verso gli altri,… Non esistono prove di ciò in nessun testo storico Giapponese, ed al di fuori dei Dojo e dei libri occidentali non si è mai sentito fornire questa spiegazione. Si sospetta fortemente di tratti di fantasia o, al massimo, di un ambizioso esempio di “dietrologia”. E’ stata avanzata una spiegazione più ragionevole: assumendo che ci si sieda e ci si alzi muovendo prima la gamba destra (la gamba destra è sempre stata mossa per prima in quanto la spada si porta sempre sopra l’anca sinistra, quindi l’alzarsi prima sulla gamba destra significa essere meno vulnerabili ad un attacco improvviso) la braga destra, con meno pieghe e perciò meno “blusante”, sarebbe più facile da muovere – ad ogni modo non si rilevano significative differenze di attrito muovendo l’una o l’altra gamba, a prescindere dal numero di pieghe. Sul retro dell’hakama c’è una piega per gamba, portandone così il totale a sette, cinque anteriori e due posteriori; al suo interno, in corrispondenza di questa piega, c’è una linguetta con una forma simile ad un cucchiaino: si tratta dell’hera, il termine giapponese per “spatola”, giacché è fatta all’incirca in quel modo. L’hera è concepita per essere infilata tra gli strati della cintura ed il dorso della persona contribuendo così a tenere la parte posteriore dell’hakama ferma ed appena un po’ più alta da terra rispetto la parte anteriore. La placca rigida che si trova sul retro all’altezza della vita è il koshi – ita, o “pattella”; se si vede un’hakama non dotata di tale parte probabilmente significa che è concepita per essere indossata da un praticante di kyudo di sesso femminile; dato che per tradizione le donne indossavano l’hakama più alta in vita rispetto gli uomini qualche volta si poteva dispensarle dall’avere il koshi – ita. Sotto l’hakama indossata nel modo formale c’è sempre un’ampia cintura, sempre annodata sul dietro. Aprendo una parentesi sui nodi e sulle formalità alcuni artisti marziali usano lo ju – musubi, o juji – shime (il “nodo a forma di dieci”) quando allacciano le fasce: il nome deriva dalla forma a croce del nodo rassomigliante al carattere che identifica il numero dieci in Giapponese; questo è un modo di allaccio formale e lo si usa per la cerimonia del tè oppure in occasioni simili. I lacci di un’hakama indossata nel regolare allenamento quotidiano dovrebbero essere legati con un semplice nodo quadrato o piatto, con il rimanente avvolto attorno alla vita in modo ordinato. C’è una fiaba circolata per qualche Dojo: ovvero che l’estremità del laccio sinistro dovrebbe essere infilata sotto la cintura e l’estremità del destro dovrebbe passare sopra nella direzione opposta in quanto ciò rappresenterebbe il dualismo di yin e yo (Yin – yang), duro - morbido, e così via. Assomiglia molto alle fantasie sulle pieghe dell’hakama… In termini meramente pratici se la propria Arte implica indossare la spada, oppure infilare ed estrarre ripetutamente un bokken dalla cintura, sistemare il laccio destro sopra ed il sinistro sotto potrà unicamente ridurre (forse) la possibilità che il laccio si sposti leggermente durante la pratica. Lo spacco laterale dell’hakama è chiamato soba che vuol dire letteralmente “vista laterale”; in qualche fase della sua evoluzione si svilupparono spacchi che arrivavano fin sotto le ginocchia ma attualmente solo le hakama formali hanno soba più lunghi ed ampi di quelle che si usano nei Dojo. Ai vecchi tempi, e nei film di samurai, vedere un uomo alzare l’orlo dell’hakama ed infilarla nei soba significava che si stava preparando ad una battaglia seria (o almeno a qualcosa di serio, è un gesto paragonabile a quello del cowboy che sposta il bordo della giacca lontano dalla fondina per iniziare un duello) e questo fissare i pantaloni in alto era detto, con un termine ovviamente arcaico, momodachi.

Addentrandoci ora sui materiali le prime hakama erano realizzate con una semplice stoffa ottenuta dalle fibre di kizu, o pianta dalla radice a freccia (una specie di maranta); fino al Periodo Edo una variante di questo rustico ma leggero tessuto, chiamata kakko, era diffusa come materiale per le hakama indossate nei mesi estivi. Le hakama formali tessute con la seta chiamata sendai hira apparvero circa quattro secoli fa con il miglioramento tecnologico del più antico metodo di filatura denominato nishijin; il sendai hira è un tessuto di seta lucente, dai riflessi morbidi, che non si stropiccia ed è confortevole da indossare; erano questi però indumenti enormemente costosi ed inadatti al Budo, a parte esibizioni o dimostrazioni estremamente formali. Da quando il cotone divenne in Giappone largamente disponibile le hakama per la pratica del Budo furono realizzate con esso, oggi abbiamo a disposizione anche tessuti completamente sintetici sia tessuti misti di fibra naturale e sintetica.

L’abilità di camminare, allenarsi, sedersi e muoversi con l’hakama indossata si chiama hakama – sabaki; il camminare in modo efficace oppure muoversi rapidamente e con grazia richiede un pò di pratica e l’inciamparci dentro i primi tempi è cosa assolutamente normale... e che hanno fatto tutti. Il modo di camminare con le con le brache dell’hakama che svolazzano largamente tutto attorno tipico dell’immagine dei film con Toshiro Mifune è detto gaki – daisho: un arcaismo per quel modo di pavoneggiarsi da parte di “quel ceffo con due spade”. I veri samurai erano invece ammirati perché camminavano shizo – shizo: sobriamente, con le ginocchia appena flesse in modo che l’hakama non si muovesse molto. Al momento di sedersi sul pavimento ci sono dei sistemi che evitano che le braghe finiscano bloccate sotto le gambe: uno di questi deriva dall’Ogasawara Ryu, una scuola di etichetta che creò regole e maniere per la casta guerriera; esso richiede di muovere con leggerezza prima la gamba sinistra e poi la destra dell’hakama dietro le ginocchia appena prima di sedersi, facendo uscire lateralmente la stoffa delle gambe come le ali di un uccello quando si è seduti completamente (schiaffeggiare con ostentazione la stoffa provocando un sonoro schiocco è considerato disdicevole e maleducato secondo il protocollo dell’Ogasawara Ryu). Si inizia a scendere in ginocchio dando un buffetto per prima all’interno della gamba sinistra e poi alla destra, le braghe ricadranno sul pavimento senza rimanere avvolte attorno alle gambe e senza ostacolare il movimento quando ci si rialzerà. Nell’etichetta della cerimonia del tè ci sono un paio di varianti: in una di queste, mentre ci si inginocchia, tutte e due le mani premono leggermente sulle cosce percorrendo la lunghezza delle gambe fino ad appena prima che le ginocchia tocchino il pavimento, per poi allargare sullo stesso la parte anteriore della stoffa che copre le gambe. Nell’altra le due mani spazzolano le gambe dell’hakama indietro ed all’interno delle ginocchia simultaneamente alla discesa in ginocchio. Queste varianti riflettono le differenze tra le varie scuole di etichetta dell’antico Giappone alcune delle quali ebbero influenza sui vari Ryu di cerimonia del tè.

Chi indossa l’hakama in un Dojo?

In parecchi Koryu classici la si indossa fin dal primo allenamento, lo stesso è vero per iaido, kyudo, naginata – do. L’aikido pare essere l’unica forma di Budo dove l’indossarla sembra un specie di privilegio od un segno distintivo di rango, il perché tale usanza si sia evoluta nell’aikido è un mistero; è possibile dimostrare infatti, visionando le più vecchie foto degli allenamenti che si tenevano negli anni trenta, come tutti i praticanti indossassero l’hakama. La spiegazione sul cambiamento di questa tradizione è stata data da Tamura Sensei stesso nella sua intervista a Leo Tamaki:

(http://www.leotamaki.com/article-interview-tamuranobuyoshi-l-aigle-de-l-aikido-77477356.html).

Altra anomalia che riguarda l’hakama nell’aikido è stata il suo uso fra le donne; mentre agli uomini era spesso proibito indossarla prima del grado richiesto le allieve potevano invece indossarla fin da subito. La spiegazione “ufficiale” mette la questione in relazione con il pudore femminile: in buona sostanza qualche insegnante di aikido verso la metà del ventesimo secolo trovò che le donne in pantaloni apparissero un po’ troppo fuori dagli schemi, da ciò discese l’editto che le donne ne potevano abbigliarsi senza riguardo per il grado. La maggior parte di coloro che praticano l’arte di qualche Koryu non indossa pantaloni sotto l’hakama, a differenza dei più tra i praticanti di aikido; la spiegazione che viene data più frequentemente sostiene che portare i pantaloni fa parte della tradizione e di un giusto senso del pudore. E’ errato... Nel Giappone pre – moderno non esisteva nulla di simile ai pantaloni moderni, l’usanza di indossare i pantaloni può invece essere sorta per le suwari – waza, le tecniche che vengono effettuate in ginocchio, in quanto lo strato extra di stoffa tra le ginocchia e la materassina può dare una qualche protezione aggiuntiva dalle abrasioni e scottature; i primi allievi di Ueshiba provenienti dal Judo hanno rapidamente adottato i pantaloni lunghi come parte dell’uniforme provocando così involontariamente l’accettazione dei pantaloni come parte dell’equipaggiamento per l’allenamento dell’aikidoka. Se si indossano i pantaloni sotto l’hakama bisogna però fare attenzione che questi non sbordino sotto l’orlo della stessa…è una visione estremamente goffa ed inelegante. Un’altra cosa che bisogna anche assolutamente evitare è quella di indossare la cintura sopra l’hakama come segno evidente del proprio grado. Qualche scuola di arti marziali potrebbe farlo per simulare la fascia alla quale appendere la spada lunga, oppure per facilitare la simulazione di estrazione e rinfodero con una spada da allenamento, oppure ancora per fornire un appiglio durante l’allenamento su tecniche di presa; ad ogni modo la cintura avvolta fuori dall’hakama accolla proprio l’impressione che non si riesca assolutamente a resistere alla tentazione di esibire il proprio grado, anche a rischio di fare la figura dello sciocco.

Coloro che hanno speso e spendono così tanto tempo con indosso questa bislacca gonna – pantalone dovrebbero imparare ad indossarla e piegarla correttamente nonché conoscere, almeno approssimativamente, la sua storia.